martedì 26 aprile 2016

Gabriele la Porta a Spoleto



Ci guardano dall’alto, questi versi, come gli angeli di Avicenna che, mentre si innalzano chiamati dall’Amore per il Divino, non possono fare a meno di tornare indietro per alleviare le umane sofferenze, di fare proprie le nostre lacrime, per poi sentirsi nuovamente attratti dal cielo e, salendo, dalla terra, in una continua tensione tra due mondi.

Ci spingono, non a caso ma per Fato, a gettarci nel baratro dell’altrove come il tuffatore di Paestum. Si cade con la sicurezza assoluta di Ibn al-Fàrid che non ha paura di cantare che “Chi non muore davvero del suo Amore di vivere d’Amore non avrà la ventura”.

Sono messaggeri, questi versi, e quindi Angeli. Sono “vangeli”, perché “buone novelle”.

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